RSA tra aspettative, proposte e risorse

Molte sono le proposte avanzate sul ruolo che le RSA dovranno assumere nel contesto della nuova organizzazione dell’assistenza territoriale, ma alcuni punti fermi meritano di essere precisati. In un quadro di generalizzata riduzione delle risorse destinate al SSN, appare necessario ribadire che per nuovi servizi è indispensabile prevedere nuove risorse, altrimenti ogni riforma, specie quella del sistema nazionale assistenza anziani (SNAA), è destinata a fallire.

Sebastiano Capurso, Presidente Nazionale ANASTE

Non sembra infatti ragionevole suscitare aspettative, tra gli operatori e soprattutto tra gli utenti, senza definire prioritariamente quali risorse si vogliono destinare all’operazione di riforma. Questo in particolare perché il settore dell’assistenza territoriale, trascurato e sottofinanziato per decenni, si trova oggi in una situazione di crisi gravissima: come si possa pretendere una sostanziale implementazione di servizi, qualità e strutture, senza una revisione dei corrispettivi riconosciuti, non è facile da capire. Bisogna ricordare infatti che il livello di remunerazione delle giornate di degenza in RSA è fermo, nella quasi totalità delle regioni italiane, da oltre 10 anni (Governo Monti), e che i sistemi di valutazione della complessità clinica ed assistenziale degli ospiti, anch’essi diversi a seconda del le Regioni, individuati molti anni orsono, tendono a sottostimare il carico di risorse assorbite dagli attuali utenti, di anno in anno più compromessi e meno autosufficienti, a causa della naturale selezione determinata dalla carenza cronica di posti letto residenziali.

Le RSA infatti si sono spesso trasformate, in questi anni, in reparti di lungodegenza medica proprio per la necessità di dover curare ed assistere anziani non autosufficienti malati, cioè portatori di patologie croniche, dalle quali dipende anche la loro non autosufficienza, che necessitano di trattamenti medici, infermieristici e riabilitativi specifici. Gli standard di personale dedicato all’assistenza, fissati dalle normative regionali di accreditamento, si sono nel tempo dimostrati insufficienti, tanto che le strutture sono state costrette, per mantenere i livelli di assistenza, ad integrarli, con l’aggiunta di ulteriore personale professionale, a proprie spese, senza cioè che i maggiori costi conseguenti venissero in qualche modo riconosciuti con incrementi delle rette.

Se a questa considerazione aggiungiamo il peso dell’inflazione dell’ultimo decennio, e soprattutto degli ultimi due anni, e l’esplosione dei costi energetici e delle forniture, possiamo ben capire perché il settore delle RSA sia oggi sull’orlo del baratro. Quindi un primo intervento deve riguardare una analisi trasparente e precisa dei costi, per riconoscere il giusto corrispettivo ai gestori, a fronte di un percorso chiaro di definizione degli obblighi e delle caratteristiche dei servizi da rendere, considerando che le RSA erogano prestazioni comprese nei L.E.A., e sono quindi parte integrante del SSN, per il quale garantiscono l’unica risposta nel settore delle cure di lungo termine.

A questo va aggiunto che appare anche urgentissimo colmare l’enorme divario che esiste tra regioni del Nord e del Sud Italia in termine di disponibilità di servizi per la non autosufficienza: bisogna portare i servizi dove sono i cittadini che manifestano il bisogno, e non costringere i cittadini a spostarsi lì dove ci sono i servizi: considerare questa priorità appare essenziale, in un periodo nel quale si discute la proposta del “regionalismo differenziato”, che potrebbe rappresentare la pietra tombale per il riequilibrio del sistema, e per la realizzazione della vera universalità del SSN, sancita dalla Costituzione.