Valutazioni e decisioni spettano alle Asl, non ai gestori delle strutture accreditate, sulle quali non grava alcun onere e nessuna responsabilità
di Michela Capurso
Rsa in tv, non c’è verso di mandare in onda un messaggio chiaro, trasparente, corretto. Sia detto senza polemica ma i programmi di “approfondimento” e di denuncia scivolano sul piano inclinato di una informazione parziale, incompleta e a tesi. Vogliamo parlare di disinformazione? Ci siamo molto vicini. Qualche giorno fa un noto giornalista televisivo, conduttore di una nota trasmissione di prima serata su rete nazionale, ha dedicato una delle sue inchieste sulla questione del pagamento della quota sociale delle rette di RSA (quella parte di contributo che spetta all’ospite delle strutture e che si aggiunge a quello dell’Ente locale di competenza.
La conclusione del servizio? “Le RSA richiedono rette non dovute, ecco come fare per non pagare”.
È evidente, un simile approccio induce gli ascoltatori a ritenere che l’abuso, cioè la richiesta di somme non dovute, sia commesso dai gestori delle RSA, che non avrebbero diritto a percepire quei soldi. Inutile dire che la situazione non è in questi termini, e che i gestori hanno evidentemente diritto a ricevere l’integrale corrispettivo per i servizi erogati agli anziani ospiti. La regola è chiara: il 50% della retta, riferito a prestazioni e servizi strettamente sanitari, è a carico del SSN.
Ma chi deve pagare l’altro 50%? In genere viene posto a carico dell’utente o della famiglia, come importo riferito alle prestazioni e servizi di carattere “sociale” – “alberghiero”. Ma sulla scorta di un’interpretazione a nostro avviso distorta delle numerose sentenze della Suprema Corte di cassazione e di diversi Tribunali, la trasmissione induce a credere che la quota sociale in molti casi non sia dovuta, che sia impropriamente richiesta dai gestori delle RSA, e che debba essere restituita alle famiglie. La questione è dunque tutta qui: individuare chi è tenuto al pagamento, non certo se tale pagamento sia dovuto.
Ed allora vediamo cosa dicono esattamente tutte le sentenze citate: “ai fini della integrale gratuità…è sufficiente che alla persona affetta da Alzheimer o demenza senile siano erogate prestazioni sanitarie strettamente connesse a quelle assistenziali affinché l’intera spesa rimanga a carico del SSN (Cass. 2038/2023) “. Si afferma cioè un principio molto chiaro: quando le prestazioni sociali sono inscindibilmente connesse a quelle sanitarie, situazione evidentemente da valutare caso per caso, tutto l’onere ricade sulle ASL.E sono quindi le ASL, enti istituzionalmente incaricati della preventiva valutazione clinica degli utenti prima dell’invio presso le strutture, che devono individuare la presenza o meno delle circostanze di inscindibilità delle prestazioni sanitarie ed alberghiere, e provvedere, se ci sono tali condizioni, ad assicurare la necessaria copertura economica per l’integrale pagamento della retta di degenza. Nessun obbligo e nessuna responsabilità grava quindi sulle RSA accreditate, che ricoverano una utenza di malati anziani già sottoposti all’esame delle unità valutative geriatriche pubbliche, e che unicamente di tale giudizio clinico ed amministrativo devono tener conto.
I cittadini, quindi, devono richiedere che sia stabilito il criterio della eventuale esenzione dal pagamento della quota sociale nel momento della valutazione preliminare, in quanto anche tale onere ricade direttamente ed esclusivamente sulle ASL e non sulle strutture. Ma naturalmente le medesime ASL non hanno procedure per garantire questo diritto alla cura gratuita, ed ai cittadini non rimane altro, al momento, che rivolgersi ai Tribunali, presso i quali devono però citare le ASL e le Regioni, non certo i gestori delle RSA che, come detto, non hanno nessun potere di intervenire sul percorso di valutazione e determinazione del contesto di malattia.
Le RSA, infatti, sono tenute ad accettare quanto deciso dalle amministrazioni pubbliche e devono continuare, nonostante tutte le problematiche, ad offrire un servizio indispensabile alla cittadinanza. È così semplice. E si è persa una buona occasione per fare chiarezza, per dare una informazione corretta, per trovare una via d’uscita.