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Valorizzare il lavoro per garantire la qualità dei servizi: stesso lavoro, stesso stipendio

Il Convegno nazionale del sindacato Snalv – Confsal, che si è svolto ieri 20 febbraio a Roma, ha fatto il punto sulla situazione del settore socio-sanitario e sull’avanzamento delle trattative per il rinnovo del relativo CCNL, firmato con l’associazione di categoria Anaste.


E’ emersa una comune valutazione sulla difficoltà in cui versa l’intero settore, dovuta alla carenza del personale professionale, alle rette ferme da molti anni, alla sempre maggiore complessità degli ospiti delle strutture ed alla insufficienza delle misure previste dalla Legge di riforma dell’assistenza agli anziani, in discussione proprio in questi giorni.

Chiarissimo il messaggio trasmesso dalla Segretaria Generale di Snalv, Mariella Mamone, organizzatrice dell’evento, alla numerosa platea di lavoratori presenti. “E’ necessario aprire la stagione dei rinnovi contrattuali di settore con una considerazione ben precisa: ad uguale lavoro deve corrispondere uguale salario. Non è più tollerabile che un dipendente di struttura privata si ritrovi 300 € al mese in meno nella busta paga, rispetto ad un collega del servizio pubblico. Obiettivo di Confsal è pertanto battersi per l’equiparazione effettiva dei compensi dei lavoratori del socio-sanitario, indipendentemente dal fatto di lavorare per una ASL o per un gestore privato, profit o no-profit che sia. Appare inoltre necessaria la revisione degli standard organizzativi delle RSA, per consentire a tutti gli operatori di svolgere nel modo migliore il loro servizio, e attuare una programmazione preventiva del fabbisogno di personale.”

Si è associato a questa impostazione il Presidente nazionale di Anaste, Sebastiano Capurso, che ha affermato che “gli enti e le strutture accreditate con il SSN sono concessionari di pubblico servizio, ed erogano a cittadini anziani e malati, analogamente agli enti pubblici, prestazioni sanitarie comprese nei livelli essenziali di assistenza. Stesso lavoro, stesse regole, e quindi contratto di lavoro con medesimi importi tabellari ma, essendo a tutti gli effetti equiparati agli erogatori pubblici, anche identici valori economici da corrispondere agli enti accreditati, cioè stesso costo da sostenere per il SSN.

Ha infatti illustrato, attraverso i dati dell’Osservatorio RSA dell’Università LIUC, come negli anni 2020 e 2021 la maggioranza degli enti del settore abbia chiuso i bilanci in perdita, certificando una situazione di estrema criticità economica. “Con una avvertenza, però – ha precisato – e cioè che il passivo di un ente privato accreditato coinvolge solo i suoi soci, che devono ripianare le perdite, mentre il passivo accumulato dalle strutture pubbliche, che rappresenta la fetta più importante del disavanzo del settore, viene ripianata con i soldi di tutti noi.”

Si tratta di una discriminazione non più accettabile, che penalizza sia i gestori/concessionari, che vivono di finanza derivata (cioè, con tariffe e budget di servizio annuali fissati dalle Regioni), sia i lavoratori, che ricevono così salari inevitabilmente più bassi.

Capurso ha infine ricordato le iniziative importanti condotte per la rivalutazione del settore sia da Anaste (formazione gratuita, sanità integrativa, coperture assicurative specifiche per i dipendenti, i programmi “RSA sicura” e “in RSA è meglio”) sia il “Manifesto per le RSA”, promosso dal Coordinamento inter associativo del settore socio-sanitario CIASS, che raggruppa le 14 associazioni datoriali rappresentative dell’intero comparto.

Ha concluso affermando che esistono ampi margini per risparmiare su spese inutili, migliorando l’efficienza del sistema, e soprattutto riducendo gli sprechi, che pesano oggi per miliardi sui conti del Servizio sanitario nazionale, “si tratta quindi di individuare delle priorità nelle scelte di governo del settore, per assicurare a tutti gli anziani il diritto costituzionale a cure appropriate e ad assistenza dignitosa, specie nella parte finale della vita”.