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Urge operazione trasparenza nell’assistenza socio sanitaria

I livelli retributivi anche degli operatori non qualificati presenti nelle RSA sono già oggi di gran lunga superiori a quelli ipotizzati
come “minimi”. Ma c’è chi continua ad usare contratti scaduti o disdettati generando un fenomeno di distorsione del mercato.
Piena e totale legittimità per i sindacati “autonomi” di sottoscrivere con le parti datoriali rappresentative del mondo imprenditoriale dei CCNL pienamente validi.

Il paradosso: a fronte dei 250.000 operatori del settore, esiste un milione di addetti privi di qualsiasi copertura previdenziale o assicurativa, cioè non contrattualizzati, sono i lavoratori delle strutture abusive e soprattutto le oltre 700.000 badanti completamente “a nero”.

È ripartita in questi giorni la polemica sulle proposte per la istituzione del cosiddetto “salario minimo”, cioè di un compenso orario per i lavoratori al di sotto del quale non sia possibile scendere per retribuire una prestazione di lavoro. Tra i comparti interessati ad un provvedimento di questo genere spesso viene citato impropriamente il settore dell’assistenza sociosanitaria, a causa di presunti bassi salari medi erogati attraverso I CCNL vigenti.

È bene quindi fare chiarezza, a tutela della dignità del settore, delle imprese che vi operano e dei lavoratori che vi dedicano la loro vita, prestando la loro opera professionale. La presenza nel settore di numerose organizzazioni datoriali, che rappresentano le diverse anime e la storia del settore (enti religiosi, imprese profit e non profit, onlus, cooperative, enti pubblici, associazioni di volontariato e di familiari, ecc.) ha determinato, nel corso degli anni, lo stratificarsi di molti contratti collettivi nazionali di lavoro, ognuno con specifiche caratteristiche.

Certamente una linea di indirizzo comune andrebbe individuata, sempre nel rispetto delle singole individualità, tenendo conto prioritariamente di due essenziali elementi: la necessità di effettuare una operazione trasparenza, estromettendo i contratti “di comodo”, cioè, ad esempio, l’applicazione nelle strutture socio-sanitarie dei contratti relativi al badantato, all’assistenza domestica e tutelare, al commercio, alle attività alberghiere, alle pulizie, ecc., che non rappresentano certamente la realtà del settore · riconoscere le organizzazioni datoriali comparativamente più rappresentative nel settore, come avviene per le sigle sindacali, onde evitare il perverso fenomeno dei contratti “fantasma”, cioè CCNL, sottoscritti da OOSS dei lavoratori rappresentative con sigle datoriali inconsistenti, contratti che non risultano applicati che a poche decine di lavoratori, spesso solo in specifiche regioni.

Infatti, la problematica del salario minimo, come oggi prospettata, non riguarda assolutamente il settore socio-sanitario, che occupa in prevalenza personale laureato o con diploma professionale: i livelli retributivi anche della modestissima quota di operatori non qualificati presenti nelle RSA sono già oggi di gran lunga superiori a quelli ipotizzati come “minimi”. Questo certamente se si applicano i CCNL vigenti, che sono tutti allineati sui medesimi valori retributivi medi, in modo corretto e trasparente.

Esistono però altri aspetti, ad esempio il deliberato utilizzo di CCNL scaduti e disdettati da decenni, quindi privi di ogni validità legale, con la connivenza delle stesse OOSS, e con un indebito beneficio per le imprese utilizzatrici, che negano ai lavoratori gli aumenti salariali e normativi dei successivi rinnovi, generando quindi un fenomeno di distorsione del mercato, danneggiando l’immagine del settore. Va chiarito a questo punto il problema dei veri contratti “pirata”, precisando che le norme nazionali sul lavoro prevedono che i CCNL, per essere validi, devono essere sottoscritti dalle Organizzazioni sindacali “comparativamente maggiormente rappresentative” nel singolo settore, ed essere successivamente depositati presso il CNEL, che ne detiene l’archivio storico.

Il Ministero del Lavoro, con proprio Decreto del 2014, ha indicato quali siano da considerarsi “organizzazioni sindacali comparativamente maggiormente rappresentative” nei vari settori, includendo naturalmente anche molte altre sigle, oltre a quelle confederali, presenti nei luoghi di lavoro con propri iscritti e propri organismi di rappresentatività. Nello stesso modo, all’interno dell’assemblea del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL), così come nei Comitati di indirizzo dell’INPS e dell’INAIL, sono presenti, oltre ai confederali, molti altri sindacati “autonomi”, con pari diritti e dignità. Chiarita quindi la piena e totale legittimità, per i sindacati “autonomi” di sottoscrivere con le parti datoriali rappresentative del mondo imprenditoriale dei CCNL pienamente validi, resta ancora da approfondire una parte non irrilevante relativa alla giungla di trattamenti economici e normativi presenti nel settore.

Vi sono da considerare molti aspetti, in primo luogo l’utilizzo di affidamenti di personale professionale in somministrazione, da parte di agenzie interinali, o il subappalto di interi servizi, l’impiego di personale con rapporto di collaborazione occasionale o libero professionale a partita IVA, che ulteriormente moltiplicano i trattamenti economici e normativi nel settore, e che meriterebbero una regolamentazione specifica. Vi è poi, nel settore, una forte quota di strutture ed organizzazioni abusive, che fanno fronte ad una domanda di assistenza sempre più pressante, e sempre meno soddisfatta dal SSN, con ulteriore proliferazione di rapporti anomali e certamente non tutelanti per i lavoratori.

In ultimo, va segnalato un paradosso: a fronte dei 250.000 operatori del settore, cui sono comunque garantite le tutele previste dai diversi CCNL, esistono circa 1.000.000 di addetti privi di qualsiasi copertura previdenziale o assicurativa, cioè non contrattualizzati. Questo è davvero “lavoro povero”. Ci riferiamo appunto ai lavoratori delle strutture abusive e soprattutto alle oltre 700.000 badanti completamente “a nero” che prestano la loro opera in Italia, ed alle quali nessuno rivolge la necessaria attenzione.

Certamente, per certe OOSS “maggiormente rappresentative” risulta più facile trattare al ribasso con grandi gruppi multinazionali, piuttosto che svolgere una vera opera di tutela per i lavoratori più deboli. Su questi argomenti Anaste intende promuovere un pubblico confronto, anche attraverso un convegno pubblico, che consenta di verificare posizioni e promuovere iniziative di superamento della attuale situazione, proprio in occasione della emanazione dei decreti attuativi della Legge 33/2023 sulla riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti.

Sebastiano Capurso

Presidente Nazionale ANASTE