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Case e ospedali di Comunità, sicuri che servano davvero?

Proposti come fondamento del nuovo assetto dell’assistenza territoriale potrebbero alla fine rivelarsi una “operazione mattone”, un intervento straordinario utile per lo sviluppo dell’industria edile, e non certamente per il settore sociosanitario. Non è inserendo un serbatoio a valle del percorso di ricovero che si potranno decongestionare i pronto soccorso dei nostri ospedali: servono prevenzione sul territorio, misure ed azioni sulla popolazione, maggiore copertura sanitaria nelle RSA, telemonitoraggio a domicilio dei pazienti cronici. Insomma, tutt’altra cosa

Solo pochi giorni fa una dichiarazione molto critica del dott. Bartoletti, Vicepresidente nazionale della FIMMG, ha riaperto la discussione sulla effettiva utilità di Case ed Ospedali di comunità, che il PNRR propone di realizzare come fondamento del nuovo assetto dell’assistenza territoriale.

L’attuale Governo, che comincia a rendersi conto della impraticabilità della proposta, ha disposto un primo taglio al numero di tali strutture, accolto positivamente sia dalla FIMMG che dagli gestori dei servizi.

La nostra opinione, infatti, già espressa fin dal 15 maggio 2022 al Forum non- Autosufficienza di Bologna, è che queste iniziative siano una “operazione mattone”, cioè un intervento straordinario utile per lo sviluppo dell’industria edile, e non certamente per il settore sociosanitario.

A nostro modo di vedere la direzione scelta, oltre che priva di supporto scientifico, manca di una valutazione del rapporto costi/ benefici, oltre che di uno studio di fattibilità organizzativa credibile.

Ed infatti come si pensa di sviluppare i servizi delle “case di comunità” senza l’apporto decisivo dei medici di famiglia che, come detto più sopra, sono del tutto contrari, e senza la reale disponibilità di infermieri e OSS, oggi introvabili? Ed a cosa servono gli “ospedali di comunità”, modelli ormai abbandonati nei pochi paesi che li avevano sperimentati? La circostanza che essi siano previsti da decenni nel nostro ordinamento, e nessuno abbia mai sentito la necessità di realizzarli, ha forse un significato? Finora nessuno ha confutato la nostra valutazione che queste “cattedrali nel deserto” potrebbero avere, al massimo, la funzione di supplire ad una carenza organizzativa, cioè siano un parcheggio temporaneo, in un reparto a gestione infermieristica (ma non si chiamavano UDI?) in attesa di un posto libero in RSA o di presa in carico da parte dei servizi di assistenza domiciliare.

Ma non ci dovrebbero essere, nel nuovo sistema, le COT a rendere facile e veloce il percorso ospedale-territorio? Certamente non è inserendo un serbatoio a valle del percorso di ricovero che si potranno decongestionare i pronto soccorso dei nostri ospedali: occorrono interventi diversi, di prevenzione sul territorio, di misure ed azioni sulla popolazione, di maggiore copertura sanitaria nelle RSA, di telemonitoraggio a domicilio dei pazienti cronici, ecc.

Dobbiamo poi chiederci quale credibilità possa avere un modello che, nel ridefinire i suoi contorni, (DM77/2022), ignora completamente le RSA, che sono l’unica risposta del SSN per le cure di lungo termine? Allora è forse il momento di ascoltare chi opera ogni giorno sul territorio, a contatto con gli anziani, con i malati cronici, con i non autosufficienti: i 40.000 medici di base, i 300.000 operatori delle RSA e degli enti gestori dei servizi di assistenza domiciliare, cioè tutti i professionisti che sopportano il carico gravoso dell’assistenza diretta.

Queste indicazioni sono riassunte nel “position paper” del CIASS (Coordinamento Interassociativo Enti assistenza sociosanitaria) con una serie di proposte concrete, che vanno dal potenziamento del sistema delle RSA, con l’aumento dei posti letto, specie nelle regioni disastrate del centro-sud, per portarlo a livello almeno della media europea, dalla quale siamo enormemente distanti, alla valorizzazione della figura del medico di struttura, al progetto della RSA multiservizi, al diverso utilizzo delle tecnologie informatiche, secondo le indicazioni della Società Italiana di Telemedicina  .

In definitiva sembra necessario ed urgente inserire nella discussione una buona dose di concretezza e di praticità, per sfruttare in pieno l’opportunità offerta dal PNRR, e per non ritrovarsi invece, come risultato, una riforma fallita ed un debito aggiuntivo di qualche decina di miliardi.

di Sebastiano Capurso, Presidente nazionale ANASTE.