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La strana storia dei contratti RSA

I sindacati confederali scioperano, ma perché e contro chi?

fonte: Cronache Nazionali del 13 settembre 2023 di Guido Donati

il CCNL sottoscritto da Aiop, riguarda solo una parte delle strutture laziali, risale al marzo 2012. Non per caso dal 2012 sono anche ferme le rette, cioè i corrispettivi economici che le Regioni riconoscono alle strutture. Ma alcune associazioni di categoria hanno proceduto, nel medesimo decennio 2012/2022, a ben due rinnovi contrattuali sempre con le medesime risorse, utilizzando quindi energie economiche proprie; ciò che ha minato gli equilibri gestionali delle strutture, ora in gravissima difficoltà. Non vanno premiate?

Tira un’aria strana nel mondo delle Rsa italiane, proprio in un momento storico, sociale, economico e sanitario piuttosto complicato. I sindacati confederali CGIL CISL e UIL hanno proclamato uno sciopero del personale del settore per il giorno 27 settembre, anticipando le azioni di lotta, nella regione Lazio, con una mobilitazione e con presidi sotto la sede di Confindustria e poi sotto la sede regionale di Aiop.

I motivi, effettivamente, sembrerebbero esserci: infatti il CCNL sottoscritto da Aiop, che riguarda quindi solo una parte delle strutture laziali, risale al marzo 2012, ed è vecchio quindi di oltre 10 anni. Non per caso dal 2012 sono anche ferme le rette, cioè i corrispettivi economici che le Regioni riconoscono alle strutture per i servizi di degenza resi agli assistiti, inviati dalle ASL presso le strutture accreditate per le cure di lungo termine (RSA, appunto).

Che i due parametri siano correlati non dovrebbe sorprendere nessuno, considerando che le RSA vivono di finanza derivata, e cioè hanno tariffe fisse, stabilite dalle Regioni, e non possono quindi in nessun modo, in caso di aumento dei costi, incrementare i ricavi per mantenere un equilibrio di gestione.

Emergono però due aspetti: il primo, che alcune associazioni di categoria, come ad esempio Anaste, hanno proceduto, nel medesimo decennio 2012/2022, a ben due rinnovi contrattuali (2017 e 2022, appunto) sempre con le medesime risorse, utilizzando quindi energie economiche proprie; ciò che ha però minato gli equilibri gestionali delle strutture, ora in gravissima difficoltà, perché sottoposte, senza alcun supporto pubblico, anche all’aumento straordinario dei costi dell’energia ed a quelli generali di una inflazione galoppante.

Va sottolineato che le aziende non associate ad Anaste questo incrementi di costi, legato ai due rinnovi contrattuali, non lo hanno sostenuto. Si concretizza di fatto un dumping industriale a danno dei lavoratori ma anche delle altre aziende, che hanno invece, a spese loro, adeguato compensi e stipendi. Qualcuno ci ha pensato e ha messo sul tavolo negoziale questo elemento? Cosa propongono allora i sindacati confederali?

Di premiare le associazioni e le aziende corrette, che si sono impegnate con ogni risorsa disponibile per garantire migliori trattamenti agli operatori, e di penalizzare chi è rimasto fermo a guardare, sfruttando la situazione e tenendo al palo gli stipendi? In realtà hanno proposto esattamente il contrario: cioè di revocare le convenzioni a chi ha rinnovato i contratti (Anaste), in quanto gli aumenti riconosciuti non avevano la loro benedizione, e di premiare gli altri, proponendo, con specifico accordo sindacale a sanatoria tombale di oltre dieci anni di mancati adeguamenti contrattuali, la risibile somma di 150 € omnicomprensivi, in comode rate, a fronte di un differenziale medio maturato di oltre 6.000 € ad operatore. Dispiace sottolinearlo, così stanno le cose.

Possiamo chiederci se CGIL CISL UIL stanno dalla parte dei lavoratori o da quella delle imprese opache, ma è una domanda vietata, vietatissima. Possiamo anche sottolineare che nel nostro paese ci sono anche altre organizzazioni sindacali con una credibilità anche maggiore. Ma qualcuno invita i lavoratori a scendere in piazza – in questo scenario – e se ne deve assumere le responsabilità.