La Consulta ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale” dell’impignorabilità dei beni delle Azienda sanitarie
in vigore fino a dicembre 2013. La sentenza 186/2013 del 3 luglio, depositata oggi, evidenzia infatti il contrasto con la Costituzione italiane delle norme contenute nella Legge di stabilità 2011 e nei successivi provvedimenti, ultimo il ‘decreto Balduzzi’, che ne hanno esteso la validità. La normativa prevedeva che “non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle Regioni” in piano di rientro.
Come lamentano da tempo i creditori delle strutture sanitarie, in primis aziende farmaceutiche e di dispositivi medici, l’impignorabilità non ha permesso di sbloccare i pagamenti dei debiti accumulati i n questi anni dalle Asl. Una sentenza che riaccende le speranze delle imprese creditrici della sanità pubblica. I debiti in sospeso sono assimilabili a una montagna, stimabili in non meno di 7 miliardi di euro.
Per i giudici della Consulta, si tratta di una disposizione “in contrasto con l’art. 111 della Costituzione” che regola il giusto processo, poiché altera “le condizioni di parità fra i litiganti, ponendo la parte pubblica in una posizione di ingiustificato privilegio, incidendo, altresì, sulla ragionevole durata del processo”. Con la norma che fissa l’impignorabilità dei fondi della Aziende sanitarie nelle Regioni oggetto di piano di rientro, secondo i giudici, è stata resa “inutile la possibilità riconosciuta ai creditori di agire in giudizio al fine di ottenere il soddisfacimento delle obbligazioni dagli stessi vantate nei confronti delle aziende sanitarie e ospedaliere delle Regioni soggette a commissariamento”. Per la Corte ciò è rilevante “tanto più ove si consideri che la predetta disposizione, rendendo inefficaci i pignoramenti già eseguiti, consente ai debitori, in aperto contrasto con l’art. 24 della Costituzione, di rientrare nella piena disponibilità dei beni sino a quel momento vincolati alla soddisfazione dei creditori esecutanti”.
La Corte evidenzia inoltre che la durata nel tempo della “disposizione ora censurata, inizialmente prevista per un anno”, è “già stata, con due provvedimenti di proroga adottati dal legislatore, differita di ulteriori due anni sino al 31 dicembre 2013”. Secondo la Consulta, infine, per giustificare l’impignorabilità “non può valere (…) il fatto che (…) possa essere” ritenuta “strumentale ad assicurare la continuità della erogazione delle funzioni essenziali” del “servizio sanitario: infatti, a presidio di tale essenziale esigenza” è già in vigore la legge 67/1993, “in base alla quale è assicurata la impignorabilità dei fondi a destinazione vincolata essenziali ai fini della erogazione dei servizi sanitari”.
Con questa sentenza della Consulta si ripristina, uno stato di diritto che era stato messo gravemente in discussione.