L’emergenza sommersa degli anziani non autosufficienti non è all’ordine del giorno del nuovo governo, le strutture devono scegliere se pagare i dipendenti o le bollette. Dice Sebastiano Capurso, presidente Anaste, “Siamo a un passo dal baratro”
Pubblichiamo l’articolo a firma di Giulio Terzi pubblicato su Cronache Nazionali dello scorso 2 novembre
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Il problema più urgente è quello di far mantenere le mascherine ai familiari in visita alle Rsa o mantenere in vita le Rsa medesime? È chiaro che non potendo trovare una soluzione alla seconda emergenza alla fine in qualche modo si risponde indirettamente anche alla prima. In breve non ci sarà più bisogno di quelle mascherine perché non ci saranno praticamente più quelle residenze protette all’interno delle quali trecentomila anziani non autosufficienti hanno oggi assistenza e appunto protezione.
Questa consistente fetta di umanità fragile dovrà essere “riconvertita” in altra situazione, in famiglia, in ospedale e la loro protezione da infezioni e malattie passerà per altre vie, mascherine o non mascherine. Ma sarà un altro scenario, confuso, complicato, costoso. Eppure, può dire qualcuno, il Governo Draghi in extremis ha varato un provvedimento quadro dedicato proprio alla popolazione non autosufficiente. Un provvedimento pieno di idee e di indicazioni, di indirizzi, ma vuoto di sostanza, di risorse, di affidamenti.
Ci vorranno anni per portare a regime questa riforma; ma intanto anziani fragili, loro famigliari, Rsa con il loro bagaglio di dipendenti andranno a fondo. Ed è legittimo che il governo abbia bisogno di tempo per entrare in partita, soprattutto in un contesto politico, economico e sociale come quello in cui stiamo vivendo. Ma la sensazione che nessuno in realtà voglia occuparsi di questa emergenza sommersa è forte, come sottolinea Sebastiano Capurso, presidente di Anaste, associazione che raccoglie una buona fetta delle Rsa italiane.
E’ questione di giorni, di settimane, prima che qualcosa di grave accada. Qualche Regione interviene con provvedimenti tampone, ma basta scorrere le cronache dei giornali locali – perché questo bisogna fare per capire le dimensioni e la drammaticità della situazione – per rendersi conto che serve un approccio globale e un intervento immediato. Numeri che fanno impressione, che dovrebbero far emergere una (ennesima) urgenza assoluta di questo paese e che invece non trovano riscontri nel mainstream media o nella politica.
I numeri citati in apertura fanno impressione, ma fa più impressione ancora il rendersi conto che l’ Italia, un paese in costante invecchiamento (anzi, con il tasso di invecchiamento più alto al mondo) che non sembra avere nessuna strategia di medio o lungo periodo per i suoi anziani. Le persone della terza o quarta età che in Italia sono classificati come “non autosufficienti” sono 3.800.000. Lo dicono i dati ISTAT. Che si fa?
Si condannano gli anziani, i loro familiari (costretti a forza in una dimensione di caregivers), le strutture sanitarie pubbliche chiamate ad assorbire queste centinaia di migliaia di casi “stanziali? “Le RSA sono in gravissime difficoltà. L’inflazione e il caro energia sta mettendo in ginocchio le strutture che già da tempo lavorano in perdita secca. È un problema gravissimo di cui nessuno sembra volersi fare carico” dice Sebastiano Capurso. “Eppure le RSA rappresentano l’ultima ancora di salvezza per migliaia di persone sole, e sono l’unica forma di assistenza agli anziani non autosufficienti del nostro paese – aggiunge – Gravemente insufficienti, visto che nel resto d’Europa il tasso di posti disponibili è superiore del 70%.
In Italia continuiamo a ignorare il problema. E non solo si ignorano le difficoltà delle strutture dedicate, ma l’intera questione. Parliamo di quasi 4 milioni di persone che nel nostro paese non possono cavarsela da sole. Le famiglie lo sanno bene, e si rivolgono alle badanti. Un universo di sommerso, di difficoltà, di ristrettezze che si tiene in piedi in qualche modo.
Ma anche i badanti, che sono nel nostro paese un milione e mezzo, invecchiano. Cosa succederà tra pochi anni quando anche i badanti avranno a loro volta bisogno di un aiuto? Non c’è nessuna programmazione, nemmeno in termini di politiche migratorie o di formazione professionale”. Qualcuno ha delle risposte convincenti?
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