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Cartabellotta: un disastro economico e sociale, così si tradisce il diritto alla salute

Il presidente di Fondazione Gimbe: già nel 2013 abbiamo lanciato la campagna per salvare il Ssn: se la sanità pubblica non è più una priorità, la politica abbia l’onestà di scegliere altri modelli

Nel 2013 la Fondazione Gimbe lanciò la campagna «Salviamo il nostro Servizio sanitario nazionale (Ssn)» per sensibilizzare decisori politici, manager, professionisti sanitari e cittadini sulla necessità di rimettere la sanità pubblica al centro del dibattito pubblico e dell’agenda politica. Prevedendo che la perdita del Ssn non sarebbe stata annunciata dal fragore di una valanga, ma dal silenzioso scivolamento di un ghiacciaio, attraverso anni, lustri, decenni. Che lentamente, ma inesorabilmente, avrebbe eroso il diritto costituzionale alla tutela della salute. E dopo 10 anni dati e cronaca dimostrano che il collasso del Ssn ci sta portando dritti verso un disastro sanitario, economico e sociale, già ben evidente in diverse aree interne del Sud. Spianando definitivamente la strada a una sanità regolata dal libero mercato, dove l’accesso a tecnologie diagnostiche e terapie innovative sarà limitato a chi potrà pagare di tasca propria o avrà stipulato costose assicurazioni sanitarie, che tuttavia non potranno mai garantire una copertura globale come quella offerta dalla sanità pubblica.

Oggi nei fatti l’universalità, l’uguaglianza e l’equità – i princìpi fondamentali del Ssn – sono stati traditi, con inevitabili conseguenze che condizionano la vita quotidiana delle persone: lunghissimi tempi di attesa, aumento della spesa privata, diseguaglianze nell’accesso alle cure, inaccessibilità alle innovazioni, mobilità sanitaria, rinuncia alle cure, sino alla riduzione dell’aspettativa di vita.

Eppure, durante la fase più critica della pandemia, tutte le forze politiche celebravano il valore della sanità pubblica e invocavano la necessità di potenziare il Ssn. Poi, passata l’emergenza, la sanità è stata rimessa all’angolo, in fondo alle priorità del Paese. Ovvero, dove l’hanno relegata tutti i governi degli ultimi vent’anni, che hanno sempre considerato la spesa sanitaria come un costo e mai come un investimento, ignorando che la salute e il benessere della popolazione condizionano la crescita del Pil. Governi che hanno scelto di usare la spesa sanitaria come un bancomat per ottenere consensi, dirottando le risorse su altre priorità mirate a soddisfare il proprio elettorato. Una politica miope che, limitandosi alla «manutenzione ordinaria» del Ssn, ha portato allo sgretolamento dei princìpi di universalismo, equità e uguaglianza, sino a compromettere il diritto costituzionale alla tutela della salute.

In questo scenario di grave crisi della sanità pubblica entra a gamba tesa anche il disegno di legge sull’autonomia differenziata, il quale non potrà che amplificare le disuguaglianze regionali, legittimando normativamente il divario Nord-Sud e violando il principio di uguaglianza nel diritto alla tutela della salute. Peraltro nel momento storico in cui il Paese prova ad utilizzare i miliardi del Pnrr con l’obiettivo trasversale di ridurre le diseguaglianze regionali e locali.

Eppure conosciamo già la terapia per curare il malato Ssn: rilanciare progressivamente il finanziamento pubblico per allinearlo entro il 2030 almeno alla media dei paesi europei; potenziare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni; garantire l’aggiornamento continuo dei livelli essenziali di assistenza per rendere subito accessibili le innovazioni, oltre che la loro esigibilità su tutto il territorio nazionale; rilanciare le politiche sul personale sanitario; riprogrammare l’offerta dei servizi socio-sanitari in relazione ai reali bisogni di salute della popolazione; regolamentare il rapporto pubblico-privato e la sanità integrativa; investire in prevenzione e promozione della salute; potenziare l’informazione istituzionale basata sulle evidenze scientifiche; aumentare le risorse per la ricerca indipendente; rimodulare ticket e detrazioni fiscali per le spese sanitarie. Lo stesso Pnrr, al di là delle recenti rimodulazioni al ribasso, rappresenta una grande opportunità per rilanciare il Ssn solo se inserito in un quadro di rafforzamento complessivo della sanità pubblica. Infatti, in assenza di risorse vincolate per il personale sanitario, di riforme di sistema (in particolare quella sui medici di famiglia) e di un affiancamento dello Stato alle Regioni più in difficoltà, rischiamo di indebitare le future generazioni solo per finanziare un costoso lifting del Ssn.

Ecco perché oggi serve innanzitutto una visione sul modello di sanità che vogliamo lasciare in eredità alle future generazioni; occorre stabilire quante risorse pubbliche investire per la salute e il benessere delle persone; infine, bisogna attuare coraggiose riforme per condurre il Ssn nella direzione voluta. Ma tutto questo richiede ancor prima un patto sociale e politico che, prescindendo da ideologie partitiche e avvicendamenti di governi, riconosca nel Ssn un pilastro della nostra democrazia, una conquista sociale irrinunciabile e una grande leva per lo sviluppo economico del Paese. In alternativa, se mantenere un Sistema sanitario nazionale pubblico, equo e universalistico non è più una priorità del nostro Paese, la politica dovrebbe avere l’onestà di scegliere apertamente un altro modello di sanità, governando in maniera rigorosa i processi di privatizzazione che si stanno già concretizzando in maniera subdola con una sanità a doppio binario che penalizza le fasce più deboli della popolazione. Mettendo una pietra tombale sull’articolo 32 della Costituzione

FONTE: La Stampa del 10 agosto di Nino Cartabellotta